11 Maggio 2020
Guardando in retrospettiva le settimane di quarantena che ho trascorso qui in Inghilterra, posso tirare le somme su un periodo che da un punto di vista personale e, non me ne vogliate, anche egocentrico, non credo sia stato così male. Ovviamente non mi riferisco alla tragedia sanitaria e sociale e alle conseguenze del virus, sul piano economico e di vite umane perse.
Il mio punto di vista si basa su considerazioni su come stavo vivendo la mia vita prima della quarantena e, con il senno di poi, credo che avessi proprio bisogno di un periodo forzato di fermo. Non ricordo di aver avuto un periodo così dai tempi delle vacanze estive durante gli anni di liceo per intenderci.
Lo stare a casa in modo forzato mi ha dato a disposizione molto più tempo per osservare e trarre delle conclusioni sulla mia vita quotidiana a Londra, da cui il post di oggi. In particolare, mi ha dato l’opportunità di apprezzare un modo di vivere che avevo perso da tempo, vivendo in una metropoli e viaggiando continuamente, e questo si può sintetizzare in due parole lo slow living slow living, che riassume la tendenza a rallentare e godersi ogni singolo attimo della giornata, con un approccio molto più lento verso l’esistenza.
Lo slow living, che letteralmente si traduce come vivere piano, rappresenta uno stile di vita più calmo, meno frenetico e che permette di vivere nel momento senza dover accumulare “cose” materiali per star bene (ecco l’elemento minimalista del processo), apprezzando piccole cose come può essere il cinguettio degli uccelli, i momenti hygge alla danese di connessione con le persone che amiamo (un concetto che ho imparato durante un viaggio e che non mi abbandona). Penso di essere anche fortunata ad essere nata e cresciuta in Sardegna e poi essere venute a Londra da adulta. Ho avuto la fortuna di crescere con questi principi e si tratta soltanto di riscoprirli e lo capirete nei vari articoli che seguiranno nelle settimane successive.
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